Ho appena terminato un libretto che mi fu regalato tempo fa, "L'Italia spensierata" di Francesco Piccolo. Un'incursione in tutto quello che viene ritenuto visibilmente popolare e quindi passibile di critiche da parte di noialtri che non guardiamo la tv, evitiamo i luoghi sovraffollati e il cinepanettone. Piccolo si è calato in mezzo al pubblico di "Domenica In", tra i villeggianti che percorrono le autostrade nelle ore di punta e mangiano il panino Fattoria in autogrill, in mezzo ai fan delle varie "Vacanze di Natale", nel calidoscopico mondo di Mirabilandia e nel marasma della notte bianca. Si è messo in discussione, insomma (non so fino a che punto, visto che l'intento era comunque quello di scrivere un libro e quindi ricavarci dei profitti). Ha provato ad assaporare quello che gli altri reputano appagante e l'ha giustificato a tratti, per poi prendere nuovamente le distanze. Ci sentiamo stupidi, a quanto pare, una volta immersi in un mondo che è di tutti ma non il nostro.
Io mi sento stupida, per esempio. Ma non so quanto questa sensazione possa essere a tutti gli effetti legittima: che si dica che questa o quella cosa non è di nostro gradimento semmai, la folla, la risata provocata grossolanamente, il protagonismo televisivo, lo spirito semplice e buontempone di chi non si chiede, non sa, non può indagare quali meccanismi ci siano dietro il popolare. Il libretto in questione se lo chiede: perchè gli autori televisivi scrivono programmi che non guarderebbero, perchè i casellanti tassano chi supera il tempo massimo di percorrenza di un tratto autostradale e non chi è al di sotto del minimo, perchè esiste un cinema che sbanca grazie a product placement beceri e sfacciati, tette, culi e facilonerie...
Ieri ero ad una cena. Mi sentivo una snob nana inappropriatamente accomodata ad un tavolo di stangone riderecce, ballerecce e canterecce. Per quanto mi riprometta di riuscire a star bene in qualsiasi contesto, in compagnia di chiunque, mi rendo conto di non essere in grado di divertirmi sempre e comunque. E allora devo mettere in atto un odioso buonismo per risparmiarmi ogni giudizio. Io. Io che volevo indagare i costumi popolari, io che dico di amare i semplici e rifuggo dagli ambienti snob e radical chic. Allora ho pensato ad un termine, ad una definizione che potesse essere di noialtri per definire loro. Felliniani.
Io mi sento stupida, per esempio. Ma non so quanto questa sensazione possa essere a tutti gli effetti legittima: che si dica che questa o quella cosa non è di nostro gradimento semmai, la folla, la risata provocata grossolanamente, il protagonismo televisivo, lo spirito semplice e buontempone di chi non si chiede, non sa, non può indagare quali meccanismi ci siano dietro il popolare. Il libretto in questione se lo chiede: perchè gli autori televisivi scrivono programmi che non guarderebbero, perchè i casellanti tassano chi supera il tempo massimo di percorrenza di un tratto autostradale e non chi è al di sotto del minimo, perchè esiste un cinema che sbanca grazie a product placement beceri e sfacciati, tette, culi e facilonerie...
Ieri ero ad una cena. Mi sentivo una snob nana inappropriatamente accomodata ad un tavolo di stangone riderecce, ballerecce e canterecce. Per quanto mi riprometta di riuscire a star bene in qualsiasi contesto, in compagnia di chiunque, mi rendo conto di non essere in grado di divertirmi sempre e comunque. E allora devo mettere in atto un odioso buonismo per risparmiarmi ogni giudizio. Io. Io che volevo indagare i costumi popolari, io che dico di amare i semplici e rifuggo dagli ambienti snob e radical chic. Allora ho pensato ad un termine, ad una definizione che potesse essere di noialtri per definire loro. Felliniani.