venerdì 3 ottobre 2008

Comunica(stra)zione

Esiste una categoria di persone il cui mestiere consiste, virgola più, virgola meno, nel mantenere contatti. Se un tempo era la pubblicità l'anima del commercio, ora, ancor prima degli strumenti più classici di adv, c'è il rapporto vivo e diretto con la possibile utenza, o con quelli che il marketing definisce "alleati". Non solo persone giuridiche, ma individui veri e propri: amici, amici degli amici, websurfer, blogger, frequentatori di forum e giornalisti. Se il destino ci ha introdotti nelle stanze scintillanti e vomitevoli della comunicazione, è ben difficile venirne fuori, anche quando si sono recisi tutti i legami con le figurine circensi che lo animavano.
Poi qualcuno torna a farsi vivo. Una galleria d'arte da promuovere. Una sagra della cozza pelosa da lanciare. Il festivalino da strapazzo da vendere come uno degli eventi socio-cultural-mediatici più sfavillanti del momento. Non ho un Facebook per farmi rintracciare. Non ho un Myspace. Non aderisco ad alcun tipo di comunità virtuale cerca-persone. Questa è la mia sola, unica forma di autocelebrazione, costruita in maniera tale da impedire a molti miei conoscenti di risalire a me (per quanto uno bravo, ma forse neanche tanto, non impiegherebbe più di due minuti per scovare la mia vera identità). Poco male. Certo è che, pur volendo sfuggire alla propaganda individuale di ciascuno, i miei numeri di telefono restano sempre gli stessi. La mail anche.
Nun ne vojo sapè.
Riepilogo i miei indumenti sembra-nuovo-no-è-lavato-con-Perdiana per vernissage, premiere, bruch&lunch... e perchè no, pure gala:
- abitino nero Oviesse, non lo dico in giro ma mi vanto tra amiche perchè un minimo di figura la fa, visto il prezzo (macchiato una volta con birra e un'altra con ogni sorta di bevanda alcolica, causa sostituzione barman festa di laurea mio ex coinquilino);
- abitino nero tipo sottoveste & tipo raso poco formante lunghezza problematica brutto effetto polpacci;
- tailleur nero giacca anonima pantalone gamba larga usato a sbuffo per innumerevoli colloqui e incalcolabili giornate da promoter (piedi sempre gonfi);
- tailleur nero raso giacca corta pantalone lungo (variante pinocchietto) usato una volta in tv prima fila pubblico vergogna vergogna non ci volevo andare.
A conferma del tutto, se mi invitano ad un evento di gala io non so che accidenti mettermi. E mica è una scusa da donna. Ma perchè dovrei comprare una cosa che tanto non metto? Per andare dove, che tanto non ci vado? Ma se non ci vado per l'abbigliamento, col capetto in più mi deciderei? Quesiti esistenziali cui non intendo dare risposta.
Solo un ricordo, neanche tanto recente. Festa del Cinema. Prima di Scorsese. Il mio posto è migliore di quello dei Vanzina (tiè), della Gerini (tiè), ho Vespa davanti (sput!). Indosso un abito che sembra nero, ma in realtà scintilla come un albero di Natale non appena una lucina, anche piccola piccola, anche il led di un cellulare, arriva a colpirlo. Che tessuto strano ha l'abitino della coinquilina! Sa quasi... sa quasi di naftalina... no no, sa di chiuso, sa di puzzo d'armadio adibito alla coltivazione sperimentale di specie di muffe esotiche.
Preparazione tragica. Doccia e tre strati di crema idratante (agiamo dall'interno dell'abito). Quindici spruzzate di profumo sul capetto scintillante. Leggera spruzzata di profumo sulla sottoscritta, altrimenti troppo fa cafone. Vestizione. Uscita: 6 del pomeriggio, la miseria, è ancora giorno, c'è troppa luce, il capetto sembra un catarifrangente. Di che tessuto è fatto 'sto capetto? Risultato: effetto baldraccona addobbata da albero di Natale che puzza di chiuso. Gli eventi mondani non fanno al caso mio. Neanche con gli abiti prestati.

mercoledì 24 settembre 2008

Alfonso

Caro,
non ti chiamo perchè non ho credito sul cellulare. Non ti chiamo perchè sono pigra. Non ti scrivo perchè cambi mail ogni sei mesi ed è almeno un anno che non uso il tuo indirizzo di posta elettronica. Non mi faccio viva perchè so usare solo scuse e non so come renderle autentiche. Non ti rispondo al telefono perchè mi chiami mentre lavoro, ma questo tu non puoi saperlo, è chiaro. Non vengo a trovarti perchè non so come presentarmi alla porta di casa tua senza preavviso, ma soprattutto non so come arrivare nel tuo paesello sperduto dalla stazione del comune più vicino. Non ti dedico più un libro perchè sono diventata una lettrice egoista che legge a singhiozzo e salta di palo in frasca, di romanzo in romanzo e di saggio in saggio. Non ti contatto su messenger perchè non uso più messenger, non ti scrivo sms perchè... uff, che palle gli sms, mi ci vogliono sempre 3-4 messaggi per esprimere un concetto, poi taglia di qua e taglia di là, togli gli spazi (lo odio), mozza le parole (orrore) e ridimensiona i periodi (castrazione). Tutto questo per dirti che mi servi, nel senso più utilitaristico del termine. Mi servi come amico, mi servi come pensatore fine e persino come forza lavoro. Nei prossimi mesi novità a teatro.

lunedì 22 settembre 2008

Quando una cretina fa marketing

Oggi mi sono imbattuta in una vecchia conoscenza: Doretta, una trovata della famiglia Windows/MSN che un anno e mezzo fa non mancò di stupirmi per l'idiozia dei suoi creatori.
Doretta (la ricercatrice quasi perfetta) è un motore di ricerca semi-umano con tanto di redazione alle spalle. La aggiungi alla lista dei contatti Messenger, la interpelli e le dici: "A Dorè, me serve l'indirizzo del porchettaro più vicino" e lei te lo trova. Stando ai vecchi commenti, il più delle volte toppa.
Doretta è sfacciatamente cretina (per quanto siano evidenti i tentativi dello staff di renderla giusto un tantino meno frivola), spudoratamente markettara (in senso pubblicitario, s'intende) e quanto mai distante dalla media delle donne comuni. Povera redattrice alle sue spalle: neanche lei è una donna nella media, ma smania per sembrarlo.
L'ultima trovata finto-simpatica è la versione napoletana di Doretta: un modo per raccogliere consensi (già scarsi). Sarà, ma le invettive dei suoi più accaniti detrattori erano molto più esilaranti. Che fine avranno fatto non lo so, ho cercato inutilmente i link dei loro blog: o la redazione li ha epurati o sono in fondo ad una lista chilometrica di commenti.
Ma qui si spara sulla Croce Rossa, perchè Doretta sarà nata stupida, magari per un errore di valutazione dei suoi ideatori, ma continua ad esserlo perchè se ne parli. Ecco, anche adesso... quanti nuovi lettori avrò donato al suo blog? Anche questo è marketing, poveri noi. Parlatene male, ma parlatene. E intanto la pubblicità si accumula tra le sue pagine: lei è fedele alla stessa macchina e compra libri (legge?!?) nella stessa catena di negozi.
Tutto è così stantio, nauseabondo e banale. Preferisco la cara vecchia pubblicità in TV, che almeno eccelle più di tanta altra fiction. La guardo come se fosse un film. Abbasso il volume, notoriamente più alto quando parte la reclame, e mi gusto l'inventiva. Almeno non ne sono troppo schiava. Merito del mio stipendio.

domenica 17 febbraio 2008

L'Italia spensierata

Ho appena terminato un libretto che mi fu regalato tempo fa, "L'Italia spensierata" di Francesco Piccolo. Un'incursione in tutto quello che viene ritenuto visibilmente popolare e quindi passibile di critiche da parte di noialtri che non guardiamo la tv, evitiamo i luoghi sovraffollati e il cinepanettone. Piccolo si è calato in mezzo al pubblico di "Domenica In", tra i villeggianti che percorrono le autostrade nelle ore di punta e mangiano il panino Fattoria in autogrill, in mezzo ai fan delle varie "Vacanze di Natale", nel calidoscopico mondo di Mirabilandia e nel marasma della notte bianca. Si è messo in discussione, insomma (non so fino a che punto, visto che l'intento era comunque quello di scrivere un libro e quindi ricavarci dei profitti). Ha provato ad assaporare quello che gli altri reputano appagante e l'ha giustificato a tratti, per poi prendere nuovamente le distanze. Ci sentiamo stupidi, a quanto pare, una volta immersi in un mondo che è di tutti ma non il nostro.
Io mi sento stupida, per esempio. Ma non so quanto questa sensazione possa essere a tutti gli effetti legittima: che si dica che questa o quella cosa non è di nostro gradimento semmai, la folla, la risata provocata grossolanamente, il protagonismo televisivo, lo spirito semplice e buontempone di chi non si chiede, non sa, non può indagare quali meccanismi ci siano dietro il popolare. Il libretto in questione se lo chiede: perchè gli autori televisivi scrivono programmi che non guarderebbero, perchè i casellanti tassano chi supera il tempo massimo di percorrenza di un tratto autostradale e non chi è al di sotto del minimo, perchè esiste un cinema che sbanca grazie a product placement beceri e sfacciati, tette, culi e facilonerie...
Ieri ero ad una cena. Mi sentivo una snob nana inappropriatamente accomodata ad un tavolo di stangone riderecce, ballerecce e canterecce. Per quanto mi riprometta di riuscire a star bene in qualsiasi contesto, in compagnia di chiunque, mi rendo conto di non essere in grado di divertirmi sempre e comunque. E allora devo mettere in atto un odioso buonismo per risparmiarmi ogni giudizio. Io. Io che volevo indagare i costumi popolari, io che dico di amare i semplici e rifuggo dagli ambienti snob e radical chic. Allora ho pensato ad un termine, ad una definizione che potesse essere di noialtri per definire loro. Felliniani.

lunedì 28 gennaio 2008

Tragicomiche rivelazioni di un lunedì qualsiasi

Il mio capo non fuma solo erba. Qualche volta crack. Fa spesso uso di coca e credo di poter riconoscere perfettamente quando è in astinenza. Ecco perchè è così magro. Ecco perchè non riesco a stargli dietro.

Il Direttore Generale non sempre risponde alle domande di chi si preoccupa per il suo stato di salute. Faccio un esempio: c'è una firma da contraffare, lui prende il documento su cui apporre l'autografo e lo tiene davanti a sè al contrario. Si sforza di controllare che i dati inseriti siano corretti e chiede: "Ma dov'è il codice fiscale?". Inutile ripetere sino alla nausea: "E' lì, non lo vedi? Ma perchè tieni il foglio al contrario?".
Non risponde. Sudori freddi. Inizia la cerimonia di ratifica con tanto di firma originale come modello. "Ma perchè firmi al contrario?".
La sudata continua. La preoccupazione cresce, mista a una voglia irrefrenabile di sghignazzare, sadica e strafottente... Il Direttore Generale ha un ictus in corso, il Direttore Generale sta svalvolando. Il silenzio urla più delle richieste di rassicurazione.
"E' scientificamente dimostrato - irrompe lui - che per contraffare una firma bisogna tenere il foglio al contrario. Così la mano è svincolata dal cervello, e la riproduzione non segue i criteri della propria calligrafia, ma la semplice meccanica copiatura di una serie di segni ritenuti incomprensibili". Ah. Il Direttore Generale non ha un ictus. Torniamo a lavorare, che è meglio.

Licenziarsi non è cosa semplice. Primo perchè se hai un contratto a progetto non ti è consentito parlare di dimissioni. Sono un privilegio da lavoratore dipendente a tempo determinato o indeterminato. Se hai un contratto a progetto puoi al massimo essere colpita da fulminante, irrevocabile rescissione anticipata. Scissa lo ero già da un po', a pensarci bene. Ripreparo la lettera.
Secondo: se lavori per un affabulatore rischi di restare affabulata. La mia medusa è calva e smilza. Riscrivo la mia letterina in tutto segreto, e con altrettanto mistero mi intrufolo in amministrazione per consegnarla. Forse è fatta. O forse no. Devo solo evitare il suo sguardo domani mattina. Attenzione alle chiacchiere e alle promesse illusorie. Attenzione ai discorsi che muovono pietà. Attenzione a qualsiasi cosa mi passi da fumare.
Se resisto all'ultimo punto è fatta.

martedì 22 gennaio 2008

Testa di mulinello

Canta Dusty Springfield:

Round / Like a circle in a spiral / Like a wheel within a wheel / Never ending or beginning / On an ever-spinning reel / Like a snowball down a mountain / Or a carnival balloon / Like a carousel that's turning / Running rings around the moon / Like a clock whose hands are sweeping / Past the minutes of its face / And the world is like an apple / Whirling silently in space / Like the circles that you find / In the windmills of your mind...

Sono una "testa di mulinello". O meglio ho la testa che mi fa mulinello. Ringrazio tutti i coraggiosi commentatori che mi hanno spronata a perseguire i miei intenti (avrei dovuto aprire un sondaggio sull'argomento, ora che ci penso).
Bene, non dico di essermi lasciata infinocchiare dal capo, ma quasi. La carta igienica è una base simpatica per i propri scritti, ma anche decisamente di merda, se mi è concesso dirlo (chiedo venia per il francesismo).
Stavo pensando al lamierino da sbalzo, quello che usavo alle medie per realizzare inguardabili bassorilievi resistenti anche alle fiamme. Domani corro in cartoleria e compro una quindicina di fogli. Chissà che non vada meglio. Temporeggio, lo so... E' per i soldi, lo so... E' per tutte le volte che ho mollato un lavoro e poi mi sono ritrovata a distribuire volantini, lavare piatti e bicchieri, vendere abbonamenti telefonici, piazzare spazi pubblicitari in programmi televisivi grezzi. E' per l'insonnia da disoccupazione.
Qui ci vuole un tempo limite. Una data, una ricorrenza, un giorno a caso che assuma improvvisamente valore. Butto giù alcune ipotesi:
- 14 febbraio: San Valentino. Mai festeggiato. L'apoteosi del diabete e del consumismo. Ma mi regalo sempre un libro in quel giorno.
- 16 febbraio: compleanno di due amiche, una di liceo e l'altra mia attuale coinquilina. Così diverse da sembrare nate una nell'anno del lupo e l'altra della pecora (ammesso che esistano).
- 22 febbraio: non ha un senso, è solo tra un mese.
- 30 febbraio: non esiste. Come a dire: rimandato a data da destinarsi.
Ovviamente potrei decidermi prima. Ovviamente. Il mulinello continua. Non commentatemi, vi prego, non in questo post. Vergüenza.

sabato 19 gennaio 2008

Note in margine di un rotolo di carta igienica

Parafrasando il titolo di un libro di David Mamet, mi capita spesso di prendere appunti sul primo pezzo di carta a portata di mano. Delle volte non ho a disposizione i tovaglioli e devo ripiegare sulla carta igienica. Quando ancora studiavo e le cose non erano al loro posto perchè così si portava, almeno due volte al mese restavamo senza tovaglioli, e sia a pranzo che a cena i rotoli di carta igienica campeggiavano sulla tovaglia, senza orrore o disappunto di alcuno. Sempre di carta si tratta, è l'uso per cui è destinata a rendercela più o meno gradevole.
Ebbene, oggi i tovaglioli sono al loro posto, nella credenza. Anche la carta igienica abbonda, appena comprata dalla mia coinquilina. Non è il primo pezzo di carta a portata di mano, volendo avrei un blocco bianco per gli appunti accanto al telefono, ma decido di alzarmi, andare in bagno e prelevare qualche strappo di carta triplo strato. Così con una bic qualsiasi, con una certa fatica vista la resistenza che la punta della penna incontrerà sulla carta, scriverò BASTA. Lunedì cambio. Lunedì smetto con questo svilimento, con questa violenza che mi snatura la mente, il corpo e ogni conoscenza accumulata con fatica negli anni. Lunedì mi licenzio.