lunedì 31 dicembre 2007

32 dicembre

La Provincia di Napoli ha varato una campagna per scoraggiare l'uso di "botti" illegali. Lo spot, in onda in questi giorni su tutte le reti nazionali, vede un redivivo Enzo Cannavale che rievoca il personaggio di un film di De Crescenzo del 1988: "32 dicembre", appunto.
L'episodio è intitolato "I penultimi fuochi" (niente a che vedere con "The last tycoon", film sugli anni d'oro del cinema hollywoodiano poi diventato "Gli ultimi fuochi" nella versione nostrana).
Che dire a riguardo... si raccomanda prudenza, buttate dal balcone cose non troppo vistose (se siete stati a Napoli capirete perchè) e limitatevi ad accendere piccole delicate "fontanelle". Quando si tratta di botti scatta spesso e volentieri un malsano istinto di ostentazione, al pari di quell'ansia tutta maschile di rivendicare l'enormità dei propri attibuti. Freud ha mai affrontato l'argomento? Natura fallica dei fuochi d'artificio? Invidia del botto?
Tuttavia spezzerò una lancia a favore di quel film da cui trae ispirazione lo spot: mi ha fatto tanto ridere... La notte di S.Silvestro un afflitto partenopeo va a letto senza botti, e tra le lacrime tende l'orecchio per ascoltare la sinfonia che si propaga di fuori. Modelli, potenza e proprietari: il farmacista spara questo, il dirimpettaio quest'altro...
Per chi come me trascorrerà la notte a casa - con orgoglio e pigrizia - consiglio una maratona cinematografia dall'una in poi. E perchè no, anche con "32 dicembre" per farsi due risate.

sabato 22 dicembre 2007

Boccone indigesto n. 2

Ma perchè, dietro un pezzo griffato e presumibilmente autentico il grande stilista c'è? Lui, solo e soltanto lui? Lo scandalo dell'alta moda è sotto i nostri occhi, basti pensare agli innumerevoli laboratori napoletani che producono su commessa pezzi che valgono 20-30 euro, poi rivenduti a cifre spropositate. Paghe da fame e no contributi. E nei Paesi in cui la legislazione è meno dura in materia di lavoro minorile i bambini confezionano le stilose borsette griffate che in via Condotti costano più del mio stipendio.
Mai letto "Gomorra"?
Chi ha sovvenzionato la campagna, Dolce e Gabbana? Gucci? Prada? Valentino? E la chiamano sensibilizzazione...
Bella puntata di "Report" a riguardo.

lunedì 17 dicembre 2007

Non so più fare barchette di carta

Questa mattina ho aperto gli occhi alle 5, mio malgrado. I soliti tre quarti d'ora per carburare, due caffè scolati d'un sorso con rispettive sigarette, un occhio all'orologio e l'altro alla parete ricoperta di foto di quando c'ero anch'io. La mia ultima mezz'ora a Napoli. Gli ultimi trenta minuti di una parentesi come sempre breve da quando l'ho lasciata.
Arrivo puntualmente trafelata il venerdì notte o il sabato nel tardo pomeriggio. Lo sanno tutti, anche quando cerco d'ingannare me stessa dichiarando che arriverò prima. Ma me la prendo sempre comoda, perchè più dolce ancora dello sbarco c'è l'attesa. E io aspetto di arrivare, aspetto in realtà anche di partire, come se prolungare l'attesa dilatasse la mia permanenza. Ma se la matematica non m'inganna alla fine non fa che ridurla. E lo sbarco si tinge subito di spazzatura e gente d'ogni etnia e inciviltà e calore. Su un taxi percorro Corso Umberto e mi accorgo di non ricordare più il nome dell'albergo vicino casa. Fuochi d'artificio. Chi avranno scarcerato stavolta... sono per me, mi convinco, me li regalo io per queste 36 ore nel passato.
Così cominciamo. Patisco un freddo di cui non avevo più memoria, quello di una casa senza riscaldamento che mi ha causato sciatalgia e reumatismi. Fumiamo. Beviamo caffè come se fosse acqua. Giro di carte, cornetto di notte, due libri e un indumento peccaminoso da regalare, una lettera che diventa una barchetta di carta che non so più comporre, sonno frammentato. E poi ancora luce, freddo, fumo, pasta al sapore di mare, mozzarelle impanate, salsiccia alla piastra, patatine, vino rosso e acqua da Nennella, caffè e sigarette, di nuovo casa, fumo, rucolino e cioccolata, la luce di una stufetta che ci illumina le ombre del viso, cuscinate e quattro ore di accanimento sulla settimana enigmistica. Così vi lascio di nuovo. E ogni giorno mi chiedo se sia necessario. Anche se quella vita non è più la mia, anche se un tempo si poteva perchè ero io che potevo, e ora non potrei perchè non mi è dato... Uff, devo ancora smaltire. I postumi. Ma da dodici ore sono già nell'altra vita.
Se sono due le vite che abbiamo, allora questa è falsa: la vera è sempre rimasta giù con voi.

giovedì 13 dicembre 2007

I giardini di Maria Bettina

Dunque, mi sono messa seduta davanti al Mac, ho preso il quadernetto che ci hanno regalato lo scorso anno alla Festa del Cinema e ho cercato una pagina bianca a caso.
Io lavoro per flash, ogni cosa che mi passa per la testa è un'immagine sconclusionata che s'illumina una frazione di secondo e poi torna nel buio.
Ho una canzone che posso riascoltare a volontà e il dovere morale di rispondere a un amico che mi chiede che faccia hanno quegli accordi.
Sul taccuino non ho scritto nulla. Dovrei mettere ancora a fuoco, ma data la natura opaca di quello che ho visto direi di lavorarci esattamente così.
Intro: ho visto delle scarpe. Scarpe in quantità, scarpe indossate, scarpe abbandonate, mocassini, Converse, ballerine, scarponcini allacciati sdruciti, scarpe in quantità. Nuove e seminuove, che si logorano nel tempo. Bisogna aggiungerci fango, sporcizia, cioccolato e calce.
Sui giardini: giorno-notte-giorno-notte-giorno-notte quanto basta. L'alternanza è carica di colori saturati, in cielo e poi su Bettina, giorno-notte-giorno-notte-giorno-notte-giorno-notte quanto basta. E poi giorno-notte sui fiori. E poi Bettina che si fa rugosa. Corri corri corri, bisogna montare rapido.
Mai essere patetici, anche perchè c'è quella frase, quei "fiori orfani" che starebbero benissimo vicino ad una lapide, ma diamine, lasciamo un po' di spazio all'immaginazione di chi guarderà!
Siamo sul low-budget, e questo s'era capito. Non ho detto nulla, me ne rendo conto, ma questa canzone è l'elogio della caducità delle cose, ergo mi viene da pensare solo a vasi in frantumi, unghie rotte, lettori dvd scassati e quadri caduti. Se riusciamo a farli parlare col chiodino che un bel giorno comunica di abbandonare i giochi (monologo a noi noto) è meglio. Sto vaneggiando.
Ma alla fine 'sti fiori benedetti appassiscono senza Bettina?

mercoledì 5 dicembre 2007

Come un gallinaceo legato al paraurti di un'auto

Esco da lavoro come sempre più tardi del previsto. Ho le buste paga in borsa, devo lavorarci a casa per estrapolarne una serie di dati necessari all'elaborazione del bilancio di Divisione.
Già mi immagino come L., femminone dell'amministrazione che voleva fare l'art director e si ritrova a maneggiare cartacce, conti e resoconti. Fuma tanto, più o meno come me. Doveva essere una bella donna prima di incatenarsi a questo lavoro. Com'era la storia di Bartebly, lo scrivano che rinunciò a scrivere?
C'è un libro di Vila Matas che mi ha consigliato un tempo un amico... un amico che mi legge ma non osa lasciare traccia. Ebbene, io quel libro lo riapro in sere come queste, perchè faccio parte della compagnia di Bartebly. E dirò di più... sono come questo polletto gommoso scovato stasera su un'auto, all'uscita da lavoro.

domenica 2 dicembre 2007

"Mio cane sa volare", ovvero dalla PMJO ai post-it di P.le Flaminio

Ho dormito quattro ore scarse questa notte, come sempre negli ultimi tempi. Ma per fare una levataccia di domenica mattina (e per levataccia intendo le 8.30, che per me è praticamente l'alba in un giorno di riposo) ci voleva un concerto. Un po' di sano jazz all'Auditorium, i diciassette elementi del Parco della Musica Jazz Orchestra, come a dire: "E' tanto che non vado per club, ne faccio scorpacciata in una mattina sola".
Non sono donna da grandi eventi, questo ho capito. A me piace l'acustica pessima e umidiccia degli scantinati dove si fanno ancora jam session, le formazioni di tre-quattro elementi al massimo e la sigaretta libera quando le porte del locale si chiudono e chi c'è c'è, si fuma a volontà tanto nessuno ci controlla.
Il suono sporco dell'improvvisazione, il chiacchiericcio in sottofondo, chi tossisce e chi slinguazza il vicino. Il jazz è questo, o almeno lo era. Come il cinema. Bandito il silenzio, ben accetta la partecipazione, le nuvole di fumo occultano le facce dei musicisti e finita la serata ti fermi a parlarci... "In quante situazioni suoni... no, la parlesia io non la capisco, mica suono, avrei voluto ma mio padre non mi ha mai insegnato, che vuoi fare... dovevo fare la groupie, la jazz-groupie, mica male, ma magari è tardi... no, forse no, forse non lo è...".
Ho cercato di soffocare il brontolio del mio stomaco durante l'esibizione, per fortuna che nella Sala Sinopoli non ti si sente neanche se russi quando la band è in azione. Ho ripensato alla nottata trascorsa, ai miei intrecci con gli artisti, battuto il piede a tempo, guardato il bancone del tecnico del suono, osservato uno ad uno ogni musicista, contemplato le mani del pianista, le spatole del batterista e la potenza nei "bracci" del contrabbassista, ma non sono mai riuscita a chiudere gli occhi. Questo è grave. Mai chiuso gli occhi. Forse la mia predisposizione all'ascolto si sta sporcando delle stesse chiazze sanguigne che hanno invaso il mio approccio con gli uomini. Non chiudere mai gli occhi.
E non puoi farlo del resto, non all'Auditorium, con quella schiera di posti vuoti. Non ti riesce proprio sapendo di aver penato tanto per trovare un invito (offerto a tutti gli iscritti alla newsletter più rapidi nella prenotazione, ma i posti erano finiti già 5 ore dopo l'inoltro della comunicazione). Immaginavo di trovare una ressa - e ressa c'era all'ingresso, ma non per la PMJO, per altro, boh, non so.
Funziona dappertutto così. Pochi posti per i comuni mortali e l'80% alle personalità. Che puntualmente non vengono. Una marea di posti vuoti. Posti che sarebbero andati benissimo a una come me che rinuncia a dormire la domenica mattina per sentire un po' di musica a ggratìs. Giusto per la cronaca, ho avuto il biglietto da un'amica cui sono stati ceduti due inviti da una di queste personalità.
Ci vorrebbe un servizio booking di biglietti rimasti inutilizzati dalle personalità. Mi offrirei volontaria, senza pretendere neppure la commissione. Anzi, la penale la pagherebbe chi si mette in cima alla lista e poi dà forfait.

Perchè il cane allora? Perchè finito il concerto sono ripassata per Piazzale Flaminio, ho comprato le sigarette al Bar dell'Orologio e voltandomi sono stata risucchiata da una parete sommersa di bigliettini colorati. Ponte Milvio al chiuso, con i post-it invece dei lucchetti? Forse, di frasette d'amore banali ve n'erano in quantità. Tutto pare sia nato per ragioni di servizio: un tipo aveva bisogno di contattare un altro tipo e gli ha lasciato un biglietto. Poi è ricapitato: altra persona, stessa esigenza. Sino a quando qualcuno ha pensato che potesse trattarsi di una sorta di muro propiziatorio, parete dei desideri, luogo d'incontro della massa che vuol fare nicchia nella nicchia del muro della massa che passa per il Bar dell'Orologio. Fino a ritrovarsi sui giornali.
E allora tutta la mia stima va all'autore, che dico, autrice, vista la calligrafia, del sagace bigliettino in cima. Senza firma e senza pretese, o forse con la pretesa di giocare col prossimo postittaro orgolioso.
"Mio cane sa volare", dice la signorina del biglietto, e se l'abbia visto volare veramente (e grazie all'assunzione di cosa) poco ci importa. La signorina ha deciso di voler fare numero e poi dai numeri si è sottratta. Altro zero che fa capolino e che almeno, rendiamogliene merito, sa strappare un sorriso.
Mio cane sa volare... e mia paperella di gomma pure, avessi una vasca da bagno in cui stare a mollo.

sabato 1 dicembre 2007

Dell'amore, ancora

L'amore più coraggioso e spregiudicato che io riesca a concepire trasuda di quotidiano, si trastulla per la sopravvivenza più ordinaria che ci fa smagrire e somatizzare con chiazze rosse e crisi d'asma.
E' dire: "Amore, io per te... grazie a te sopravvivo".
La storia d'amore più bella e coraggiosa l'ha scritta Calvino. Due operai che dividono lo stesso letto separati da turni in fabbrica opposti. Il calore che l'altro lascia sul materasso, quando è giunto per lui il tempo di alzarsi, dà la forza di dormire, e poi destarsi ancora e tornare in fabbrica.
Da tanto tempo io non dormo, e da altrettanto non mi sveglio...

Dell'amore


Julio Cortazàr, "Rayuela" - cap.7

"Toco tu boca, con un dedo toco el borde de tu boca, voy dibujandola como si saliera de mi mano, como si por primera vez tu boca se entreabriera, y me basta cerrar los ojos para deshacerlo todo y recomenzar, hago nacer cada vez la boca que deseo, la boca que mi mano elige y te dibuja en la cara, una boca elegida entre todas, con soberana libertad elegida por mì para dibujarla con mi mano en tu cara, y que por un azar que no busco comprender coincide exactamente con tu boca que sonrìe por debajo da la que mi mano te dibuja.
Me miras, de cerca me miras, cada vez màs de cerca y entonces jugamos al cìclope, nos miramos cada vez màs de cerca y los ojos se agrandan, se acercan entre sì, se superponen y los cìclopes se miran, respirando confundidos, las bocas se encuentran y luchan tibiamente, mordièndose con los labios, apoyando apenas la lengua en los dientes, jugando en sus recintos donde un aire pesado va y viene con un perfume viejo y un silencio. Entonces mis manos buscan hundirse en tu pelo, acariciar lentamente la profundidad de tu pelo mientras nos besamos como si tuvièramos la boca llena de flores o peces, de movimientos vivos, de fragancia oscura. Y si nos mordemos el dolor es dulce, y si nos ahogamos en un breve y terrible absorber simultanèo del aliento, esa instàntanea muerte es bella. Y hay una sola saliva y un solo sabor a fruta madura, y yo te siento temblar conta mì como una luna en el agua."

Chiedo venia per gli accenti, sono gli unici di cui dispongo.

Elucubrazioni avvincenti sui cartoni animati

In vino veritas e in Spagna bevono molto. Certo è che ieri il consesso di invitati alla festa del vicino ha appreso con sgomento che la versione spagnola di "Holly e Benji" ha la sigla del nostro Lupin. Ascoltate e stupite.
http://www.youtube.com/watch?v=hdBWuv0w2tQ
Per inciso... Mila e Shiro si chiamano Pedro y Clara e Heidi, almeno lei, nell'immaginario iberico è una tossicodipendente come da noi. Solo che In Italia vede le caprette fare ciao, mentre in Spagna guarda il cielo azzurro e si perde a contemplare nuvolette dense provocate da fonti non meglio specificate. Che poveri bimbi eravamo...