Ho dormito quattro ore scarse questa notte, come sempre negli ultimi tempi. Ma per fare una levataccia di domenica mattina (e per levataccia intendo le 8.30, che per me è praticamente l'alba in un giorno di riposo) ci voleva un concerto. Un po' di sano jazz all'Auditorium, i diciassette elementi del Parco della Musica Jazz Orchestra, come a dire: "E' tanto che non vado per club, ne faccio scorpacciata in una mattina sola".
Non sono donna da grandi eventi, questo ho capito. A me piace l'acustica pessima e umidiccia degli scantinati dove si fanno ancora jam session, le formazioni di tre-quattro elementi al massimo e la sigaretta libera quando le porte del locale si chiudono e chi c'è c'è, si fuma a volontà tanto nessuno ci controlla.
Il suono sporco dell'improvvisazione, il chiacchiericcio in sottofondo, chi tossisce e chi slinguazza il vicino. Il jazz è questo, o almeno lo era. Come il cinema. Bandito il silenzio, ben accetta la partecipazione, le nuvole di fumo occultano le facce dei musicisti e finita la serata ti fermi a parlarci... "In quante situazioni suoni... no, la parlesia io non la capisco, mica suono, avrei voluto ma mio padre non mi ha mai insegnato, che vuoi fare... dovevo fare la groupie, la jazz-groupie, mica male, ma magari è tardi... no, forse no, forse non lo è...".
Ho cercato di soffocare il brontolio del mio stomaco durante l'esibizione, per fortuna che nella Sala Sinopoli non ti si sente neanche se russi quando la band è in azione. Ho ripensato alla nottata trascorsa, ai miei intrecci con gli artisti, battuto il piede a tempo, guardato il bancone del tecnico del suono, osservato uno ad uno ogni musicista, contemplato le mani del pianista, le spatole del batterista e la potenza nei "bracci" del contrabbassista, ma non sono mai riuscita a chiudere gli occhi. Questo è grave. Mai chiuso gli occhi. Forse la mia predisposizione all'ascolto si sta sporcando delle stesse chiazze sanguigne che hanno invaso il mio approccio con gli uomini. Non chiudere mai gli occhi.
E non puoi farlo del resto, non all'Auditorium, con quella schiera di posti vuoti. Non ti riesce proprio sapendo di aver penato tanto per trovare un invito (offerto a tutti gli iscritti alla newsletter più rapidi nella prenotazione, ma i posti erano finiti già 5 ore dopo l'inoltro della comunicazione). Immaginavo di trovare una ressa - e ressa c'era all'ingresso, ma non per la PMJO, per altro, boh, non so.
Funziona dappertutto così. Pochi posti per i comuni mortali e l'80% alle personalità. Che puntualmente non vengono. Una marea di posti vuoti. Posti che sarebbero andati benissimo a una come me che rinuncia a dormire la domenica mattina per sentire un po' di musica a ggratìs. Giusto per la cronaca, ho avuto il biglietto da un'amica cui sono stati ceduti due inviti da una di queste personalità.
Ci vorrebbe un servizio booking di biglietti rimasti inutilizzati dalle personalità. Mi offrirei volontaria, senza pretendere neppure la commissione. Anzi, la penale la pagherebbe chi si mette in cima alla lista e poi dà forfait.
Perchè il cane allora? Perchè finito il concerto sono ripassata per Piazzale Flaminio, ho comprato le sigarette al Bar dell'Orologio e voltandomi sono stata risucchiata da una parete sommersa di bigliettini colorati. Ponte Milvio al chiuso, con i post-it invece dei lucchetti? Forse, di frasette d'amore banali ve n'erano in quantità. Tutto pare sia nato per ragioni di servizio: un tipo aveva bisogno di contattare un altro tipo e gli ha lasciato un biglietto. Poi è ricapitato: altra persona, stessa esigenza. Sino a quando qualcuno ha pensato che potesse trattarsi di una sorta di muro propiziatorio, parete dei desideri, luogo d'incontro della massa che vuol fare nicchia nella nicchia del muro della massa che passa per il Bar dell'Orologio. Fino a ritrovarsi sui giornali.
E allora tutta la mia stima va all'autore, che dico, autrice, vista la calligrafia, del sagace bigliettino in cima. Senza firma e senza pretese, o forse con la pretesa di giocare col prossimo postittaro orgolioso.
"Mio cane sa volare", dice la signorina del biglietto, e se l'abbia visto volare veramente (e grazie all'assunzione di cosa) poco ci importa. La signorina ha deciso di voler fare numero e poi dai numeri si è sottratta. Altro zero che fa capolino e che almeno, rendiamogliene merito, sa strappare un sorriso.
Mio cane sa volare... e mia paperella di gomma pure, avessi una vasca da bagno in cui stare a mollo.
Non sono donna da grandi eventi, questo ho capito. A me piace l'acustica pessima e umidiccia degli scantinati dove si fanno ancora jam session, le formazioni di tre-quattro elementi al massimo e la sigaretta libera quando le porte del locale si chiudono e chi c'è c'è, si fuma a volontà tanto nessuno ci controlla.
Il suono sporco dell'improvvisazione, il chiacchiericcio in sottofondo, chi tossisce e chi slinguazza il vicino. Il jazz è questo, o almeno lo era. Come il cinema. Bandito il silenzio, ben accetta la partecipazione, le nuvole di fumo occultano le facce dei musicisti e finita la serata ti fermi a parlarci... "In quante situazioni suoni... no, la parlesia io non la capisco, mica suono, avrei voluto ma mio padre non mi ha mai insegnato, che vuoi fare... dovevo fare la groupie, la jazz-groupie, mica male, ma magari è tardi... no, forse no, forse non lo è...".
Ho cercato di soffocare il brontolio del mio stomaco durante l'esibizione, per fortuna che nella Sala Sinopoli non ti si sente neanche se russi quando la band è in azione. Ho ripensato alla nottata trascorsa, ai miei intrecci con gli artisti, battuto il piede a tempo, guardato il bancone del tecnico del suono, osservato uno ad uno ogni musicista, contemplato le mani del pianista, le spatole del batterista e la potenza nei "bracci" del contrabbassista, ma non sono mai riuscita a chiudere gli occhi. Questo è grave. Mai chiuso gli occhi. Forse la mia predisposizione all'ascolto si sta sporcando delle stesse chiazze sanguigne che hanno invaso il mio approccio con gli uomini. Non chiudere mai gli occhi.
E non puoi farlo del resto, non all'Auditorium, con quella schiera di posti vuoti. Non ti riesce proprio sapendo di aver penato tanto per trovare un invito (offerto a tutti gli iscritti alla newsletter più rapidi nella prenotazione, ma i posti erano finiti già 5 ore dopo l'inoltro della comunicazione). Immaginavo di trovare una ressa - e ressa c'era all'ingresso, ma non per la PMJO, per altro, boh, non so.
Funziona dappertutto così. Pochi posti per i comuni mortali e l'80% alle personalità. Che puntualmente non vengono. Una marea di posti vuoti. Posti che sarebbero andati benissimo a una come me che rinuncia a dormire la domenica mattina per sentire un po' di musica a ggratìs. Giusto per la cronaca, ho avuto il biglietto da un'amica cui sono stati ceduti due inviti da una di queste personalità.
Ci vorrebbe un servizio booking di biglietti rimasti inutilizzati dalle personalità. Mi offrirei volontaria, senza pretendere neppure la commissione. Anzi, la penale la pagherebbe chi si mette in cima alla lista e poi dà forfait.
Perchè il cane allora? Perchè finito il concerto sono ripassata per Piazzale Flaminio, ho comprato le sigarette al Bar dell'Orologio e voltandomi sono stata risucchiata da una parete sommersa di bigliettini colorati. Ponte Milvio al chiuso, con i post-it invece dei lucchetti? Forse, di frasette d'amore banali ve n'erano in quantità. Tutto pare sia nato per ragioni di servizio: un tipo aveva bisogno di contattare un altro tipo e gli ha lasciato un biglietto. Poi è ricapitato: altra persona, stessa esigenza. Sino a quando qualcuno ha pensato che potesse trattarsi di una sorta di muro propiziatorio, parete dei desideri, luogo d'incontro della massa che vuol fare nicchia nella nicchia del muro della massa che passa per il Bar dell'Orologio. Fino a ritrovarsi sui giornali.
E allora tutta la mia stima va all'autore, che dico, autrice, vista la calligrafia, del sagace bigliettino in cima. Senza firma e senza pretese, o forse con la pretesa di giocare col prossimo postittaro orgolioso.
"Mio cane sa volare", dice la signorina del biglietto, e se l'abbia visto volare veramente (e grazie all'assunzione di cosa) poco ci importa. La signorina ha deciso di voler fare numero e poi dai numeri si è sottratta. Altro zero che fa capolino e che almeno, rendiamogliene merito, sa strappare un sorriso.
Mio cane sa volare... e mia paperella di gomma pure, avessi una vasca da bagno in cui stare a mollo.
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