lunedì 31 dicembre 2007

32 dicembre

La Provincia di Napoli ha varato una campagna per scoraggiare l'uso di "botti" illegali. Lo spot, in onda in questi giorni su tutte le reti nazionali, vede un redivivo Enzo Cannavale che rievoca il personaggio di un film di De Crescenzo del 1988: "32 dicembre", appunto.
L'episodio è intitolato "I penultimi fuochi" (niente a che vedere con "The last tycoon", film sugli anni d'oro del cinema hollywoodiano poi diventato "Gli ultimi fuochi" nella versione nostrana).
Che dire a riguardo... si raccomanda prudenza, buttate dal balcone cose non troppo vistose (se siete stati a Napoli capirete perchè) e limitatevi ad accendere piccole delicate "fontanelle". Quando si tratta di botti scatta spesso e volentieri un malsano istinto di ostentazione, al pari di quell'ansia tutta maschile di rivendicare l'enormità dei propri attibuti. Freud ha mai affrontato l'argomento? Natura fallica dei fuochi d'artificio? Invidia del botto?
Tuttavia spezzerò una lancia a favore di quel film da cui trae ispirazione lo spot: mi ha fatto tanto ridere... La notte di S.Silvestro un afflitto partenopeo va a letto senza botti, e tra le lacrime tende l'orecchio per ascoltare la sinfonia che si propaga di fuori. Modelli, potenza e proprietari: il farmacista spara questo, il dirimpettaio quest'altro...
Per chi come me trascorrerà la notte a casa - con orgoglio e pigrizia - consiglio una maratona cinematografia dall'una in poi. E perchè no, anche con "32 dicembre" per farsi due risate.

sabato 22 dicembre 2007

Boccone indigesto n. 2

Ma perchè, dietro un pezzo griffato e presumibilmente autentico il grande stilista c'è? Lui, solo e soltanto lui? Lo scandalo dell'alta moda è sotto i nostri occhi, basti pensare agli innumerevoli laboratori napoletani che producono su commessa pezzi che valgono 20-30 euro, poi rivenduti a cifre spropositate. Paghe da fame e no contributi. E nei Paesi in cui la legislazione è meno dura in materia di lavoro minorile i bambini confezionano le stilose borsette griffate che in via Condotti costano più del mio stipendio.
Mai letto "Gomorra"?
Chi ha sovvenzionato la campagna, Dolce e Gabbana? Gucci? Prada? Valentino? E la chiamano sensibilizzazione...
Bella puntata di "Report" a riguardo.

lunedì 17 dicembre 2007

Non so più fare barchette di carta

Questa mattina ho aperto gli occhi alle 5, mio malgrado. I soliti tre quarti d'ora per carburare, due caffè scolati d'un sorso con rispettive sigarette, un occhio all'orologio e l'altro alla parete ricoperta di foto di quando c'ero anch'io. La mia ultima mezz'ora a Napoli. Gli ultimi trenta minuti di una parentesi come sempre breve da quando l'ho lasciata.
Arrivo puntualmente trafelata il venerdì notte o il sabato nel tardo pomeriggio. Lo sanno tutti, anche quando cerco d'ingannare me stessa dichiarando che arriverò prima. Ma me la prendo sempre comoda, perchè più dolce ancora dello sbarco c'è l'attesa. E io aspetto di arrivare, aspetto in realtà anche di partire, come se prolungare l'attesa dilatasse la mia permanenza. Ma se la matematica non m'inganna alla fine non fa che ridurla. E lo sbarco si tinge subito di spazzatura e gente d'ogni etnia e inciviltà e calore. Su un taxi percorro Corso Umberto e mi accorgo di non ricordare più il nome dell'albergo vicino casa. Fuochi d'artificio. Chi avranno scarcerato stavolta... sono per me, mi convinco, me li regalo io per queste 36 ore nel passato.
Così cominciamo. Patisco un freddo di cui non avevo più memoria, quello di una casa senza riscaldamento che mi ha causato sciatalgia e reumatismi. Fumiamo. Beviamo caffè come se fosse acqua. Giro di carte, cornetto di notte, due libri e un indumento peccaminoso da regalare, una lettera che diventa una barchetta di carta che non so più comporre, sonno frammentato. E poi ancora luce, freddo, fumo, pasta al sapore di mare, mozzarelle impanate, salsiccia alla piastra, patatine, vino rosso e acqua da Nennella, caffè e sigarette, di nuovo casa, fumo, rucolino e cioccolata, la luce di una stufetta che ci illumina le ombre del viso, cuscinate e quattro ore di accanimento sulla settimana enigmistica. Così vi lascio di nuovo. E ogni giorno mi chiedo se sia necessario. Anche se quella vita non è più la mia, anche se un tempo si poteva perchè ero io che potevo, e ora non potrei perchè non mi è dato... Uff, devo ancora smaltire. I postumi. Ma da dodici ore sono già nell'altra vita.
Se sono due le vite che abbiamo, allora questa è falsa: la vera è sempre rimasta giù con voi.

giovedì 13 dicembre 2007

I giardini di Maria Bettina

Dunque, mi sono messa seduta davanti al Mac, ho preso il quadernetto che ci hanno regalato lo scorso anno alla Festa del Cinema e ho cercato una pagina bianca a caso.
Io lavoro per flash, ogni cosa che mi passa per la testa è un'immagine sconclusionata che s'illumina una frazione di secondo e poi torna nel buio.
Ho una canzone che posso riascoltare a volontà e il dovere morale di rispondere a un amico che mi chiede che faccia hanno quegli accordi.
Sul taccuino non ho scritto nulla. Dovrei mettere ancora a fuoco, ma data la natura opaca di quello che ho visto direi di lavorarci esattamente così.
Intro: ho visto delle scarpe. Scarpe in quantità, scarpe indossate, scarpe abbandonate, mocassini, Converse, ballerine, scarponcini allacciati sdruciti, scarpe in quantità. Nuove e seminuove, che si logorano nel tempo. Bisogna aggiungerci fango, sporcizia, cioccolato e calce.
Sui giardini: giorno-notte-giorno-notte-giorno-notte quanto basta. L'alternanza è carica di colori saturati, in cielo e poi su Bettina, giorno-notte-giorno-notte-giorno-notte-giorno-notte quanto basta. E poi giorno-notte sui fiori. E poi Bettina che si fa rugosa. Corri corri corri, bisogna montare rapido.
Mai essere patetici, anche perchè c'è quella frase, quei "fiori orfani" che starebbero benissimo vicino ad una lapide, ma diamine, lasciamo un po' di spazio all'immaginazione di chi guarderà!
Siamo sul low-budget, e questo s'era capito. Non ho detto nulla, me ne rendo conto, ma questa canzone è l'elogio della caducità delle cose, ergo mi viene da pensare solo a vasi in frantumi, unghie rotte, lettori dvd scassati e quadri caduti. Se riusciamo a farli parlare col chiodino che un bel giorno comunica di abbandonare i giochi (monologo a noi noto) è meglio. Sto vaneggiando.
Ma alla fine 'sti fiori benedetti appassiscono senza Bettina?

mercoledì 5 dicembre 2007

Come un gallinaceo legato al paraurti di un'auto

Esco da lavoro come sempre più tardi del previsto. Ho le buste paga in borsa, devo lavorarci a casa per estrapolarne una serie di dati necessari all'elaborazione del bilancio di Divisione.
Già mi immagino come L., femminone dell'amministrazione che voleva fare l'art director e si ritrova a maneggiare cartacce, conti e resoconti. Fuma tanto, più o meno come me. Doveva essere una bella donna prima di incatenarsi a questo lavoro. Com'era la storia di Bartebly, lo scrivano che rinunciò a scrivere?
C'è un libro di Vila Matas che mi ha consigliato un tempo un amico... un amico che mi legge ma non osa lasciare traccia. Ebbene, io quel libro lo riapro in sere come queste, perchè faccio parte della compagnia di Bartebly. E dirò di più... sono come questo polletto gommoso scovato stasera su un'auto, all'uscita da lavoro.

domenica 2 dicembre 2007

"Mio cane sa volare", ovvero dalla PMJO ai post-it di P.le Flaminio

Ho dormito quattro ore scarse questa notte, come sempre negli ultimi tempi. Ma per fare una levataccia di domenica mattina (e per levataccia intendo le 8.30, che per me è praticamente l'alba in un giorno di riposo) ci voleva un concerto. Un po' di sano jazz all'Auditorium, i diciassette elementi del Parco della Musica Jazz Orchestra, come a dire: "E' tanto che non vado per club, ne faccio scorpacciata in una mattina sola".
Non sono donna da grandi eventi, questo ho capito. A me piace l'acustica pessima e umidiccia degli scantinati dove si fanno ancora jam session, le formazioni di tre-quattro elementi al massimo e la sigaretta libera quando le porte del locale si chiudono e chi c'è c'è, si fuma a volontà tanto nessuno ci controlla.
Il suono sporco dell'improvvisazione, il chiacchiericcio in sottofondo, chi tossisce e chi slinguazza il vicino. Il jazz è questo, o almeno lo era. Come il cinema. Bandito il silenzio, ben accetta la partecipazione, le nuvole di fumo occultano le facce dei musicisti e finita la serata ti fermi a parlarci... "In quante situazioni suoni... no, la parlesia io non la capisco, mica suono, avrei voluto ma mio padre non mi ha mai insegnato, che vuoi fare... dovevo fare la groupie, la jazz-groupie, mica male, ma magari è tardi... no, forse no, forse non lo è...".
Ho cercato di soffocare il brontolio del mio stomaco durante l'esibizione, per fortuna che nella Sala Sinopoli non ti si sente neanche se russi quando la band è in azione. Ho ripensato alla nottata trascorsa, ai miei intrecci con gli artisti, battuto il piede a tempo, guardato il bancone del tecnico del suono, osservato uno ad uno ogni musicista, contemplato le mani del pianista, le spatole del batterista e la potenza nei "bracci" del contrabbassista, ma non sono mai riuscita a chiudere gli occhi. Questo è grave. Mai chiuso gli occhi. Forse la mia predisposizione all'ascolto si sta sporcando delle stesse chiazze sanguigne che hanno invaso il mio approccio con gli uomini. Non chiudere mai gli occhi.
E non puoi farlo del resto, non all'Auditorium, con quella schiera di posti vuoti. Non ti riesce proprio sapendo di aver penato tanto per trovare un invito (offerto a tutti gli iscritti alla newsletter più rapidi nella prenotazione, ma i posti erano finiti già 5 ore dopo l'inoltro della comunicazione). Immaginavo di trovare una ressa - e ressa c'era all'ingresso, ma non per la PMJO, per altro, boh, non so.
Funziona dappertutto così. Pochi posti per i comuni mortali e l'80% alle personalità. Che puntualmente non vengono. Una marea di posti vuoti. Posti che sarebbero andati benissimo a una come me che rinuncia a dormire la domenica mattina per sentire un po' di musica a ggratìs. Giusto per la cronaca, ho avuto il biglietto da un'amica cui sono stati ceduti due inviti da una di queste personalità.
Ci vorrebbe un servizio booking di biglietti rimasti inutilizzati dalle personalità. Mi offrirei volontaria, senza pretendere neppure la commissione. Anzi, la penale la pagherebbe chi si mette in cima alla lista e poi dà forfait.

Perchè il cane allora? Perchè finito il concerto sono ripassata per Piazzale Flaminio, ho comprato le sigarette al Bar dell'Orologio e voltandomi sono stata risucchiata da una parete sommersa di bigliettini colorati. Ponte Milvio al chiuso, con i post-it invece dei lucchetti? Forse, di frasette d'amore banali ve n'erano in quantità. Tutto pare sia nato per ragioni di servizio: un tipo aveva bisogno di contattare un altro tipo e gli ha lasciato un biglietto. Poi è ricapitato: altra persona, stessa esigenza. Sino a quando qualcuno ha pensato che potesse trattarsi di una sorta di muro propiziatorio, parete dei desideri, luogo d'incontro della massa che vuol fare nicchia nella nicchia del muro della massa che passa per il Bar dell'Orologio. Fino a ritrovarsi sui giornali.
E allora tutta la mia stima va all'autore, che dico, autrice, vista la calligrafia, del sagace bigliettino in cima. Senza firma e senza pretese, o forse con la pretesa di giocare col prossimo postittaro orgolioso.
"Mio cane sa volare", dice la signorina del biglietto, e se l'abbia visto volare veramente (e grazie all'assunzione di cosa) poco ci importa. La signorina ha deciso di voler fare numero e poi dai numeri si è sottratta. Altro zero che fa capolino e che almeno, rendiamogliene merito, sa strappare un sorriso.
Mio cane sa volare... e mia paperella di gomma pure, avessi una vasca da bagno in cui stare a mollo.

sabato 1 dicembre 2007

Dell'amore, ancora

L'amore più coraggioso e spregiudicato che io riesca a concepire trasuda di quotidiano, si trastulla per la sopravvivenza più ordinaria che ci fa smagrire e somatizzare con chiazze rosse e crisi d'asma.
E' dire: "Amore, io per te... grazie a te sopravvivo".
La storia d'amore più bella e coraggiosa l'ha scritta Calvino. Due operai che dividono lo stesso letto separati da turni in fabbrica opposti. Il calore che l'altro lascia sul materasso, quando è giunto per lui il tempo di alzarsi, dà la forza di dormire, e poi destarsi ancora e tornare in fabbrica.
Da tanto tempo io non dormo, e da altrettanto non mi sveglio...

Dell'amore


Julio Cortazàr, "Rayuela" - cap.7

"Toco tu boca, con un dedo toco el borde de tu boca, voy dibujandola como si saliera de mi mano, como si por primera vez tu boca se entreabriera, y me basta cerrar los ojos para deshacerlo todo y recomenzar, hago nacer cada vez la boca que deseo, la boca que mi mano elige y te dibuja en la cara, una boca elegida entre todas, con soberana libertad elegida por mì para dibujarla con mi mano en tu cara, y que por un azar que no busco comprender coincide exactamente con tu boca que sonrìe por debajo da la que mi mano te dibuja.
Me miras, de cerca me miras, cada vez màs de cerca y entonces jugamos al cìclope, nos miramos cada vez màs de cerca y los ojos se agrandan, se acercan entre sì, se superponen y los cìclopes se miran, respirando confundidos, las bocas se encuentran y luchan tibiamente, mordièndose con los labios, apoyando apenas la lengua en los dientes, jugando en sus recintos donde un aire pesado va y viene con un perfume viejo y un silencio. Entonces mis manos buscan hundirse en tu pelo, acariciar lentamente la profundidad de tu pelo mientras nos besamos como si tuvièramos la boca llena de flores o peces, de movimientos vivos, de fragancia oscura. Y si nos mordemos el dolor es dulce, y si nos ahogamos en un breve y terrible absorber simultanèo del aliento, esa instàntanea muerte es bella. Y hay una sola saliva y un solo sabor a fruta madura, y yo te siento temblar conta mì como una luna en el agua."

Chiedo venia per gli accenti, sono gli unici di cui dispongo.

Elucubrazioni avvincenti sui cartoni animati

In vino veritas e in Spagna bevono molto. Certo è che ieri il consesso di invitati alla festa del vicino ha appreso con sgomento che la versione spagnola di "Holly e Benji" ha la sigla del nostro Lupin. Ascoltate e stupite.
http://www.youtube.com/watch?v=hdBWuv0w2tQ
Per inciso... Mila e Shiro si chiamano Pedro y Clara e Heidi, almeno lei, nell'immaginario iberico è una tossicodipendente come da noi. Solo che In Italia vede le caprette fare ciao, mentre in Spagna guarda il cielo azzurro e si perde a contemplare nuvolette dense provocate da fonti non meglio specificate. Che poveri bimbi eravamo...

mercoledì 28 novembre 2007

Regalo di Natale anticipato

Oggi la mia azienda mi ha fatto un regalo. Un presente natalizio che giunge inaspettato un mese prima del dovuto. Cinquantadue etichette adesive da preparare per i pacchi dono da inviare a clienti e partner illustri (quelli del mio capo, per il momento).
La scelta è ardua. Si è dibattuto per un mese sull'opportunità di regalare babbi natale di cioccolato scadente o pennette USB da 512 Mb.
Alla fine si è ragionevolmente optato per oggetti top class, così suddivisi:
fascia altissima - libro d'arte;
fascia alta - orologio con logo aziendale stampato sul vetro (sul quadrante non c'è più tempo, la consegna è prevista per il 9 dicembre);
fascia altina - hub USB a forma di bocca prominente e siliconata (si straperanno i capelli per questo);
fascia presumibilmente alta ma in realtà media - porta biglietti da visita;
fascia pezzenti ma degni comunque di cenno - cartolina virtuale.
Dopo settimane di attacchi isterici collettivi il Presidente, i dirigenti tutti e il responsabile dell'area marketing hanno finalmente deliberato.
Ricchi premi e cotillion. Per noi poveri collaboratori neanche la tredicesima, ahimè. Se tutto va bene - e ce ne vorrà di culo - babbi natale di cioccolato scadente per tutti. Un Natale coi fiocchi. E la diarrea.

martedì 27 novembre 2007

L'ammutinamento dei lombrichi

"Io questo non lo firmo". Sedizione n.1.
Passaggio di consegna, lo farà un altro.
"Io questo non lo firmo". Sedizione n.2.
Così due lombrichi nella terra dei giganti rifiutano di farsi carico di importi favolosi, che al massimo riesci a vedere se partecipi a "Chi vuol essere milionario" e hai il culo di arrivare fino in fondo.
Non è una gran cosa in realtà. Ti tieni al riparo da eventuali beghe future ma non sei fuori dalla cacca.
Densa, scura, compatta, merdosissima cacca.
Forse fuggire si può prima che la barca affondi. Sommersa dalla cacca.

domenica 25 novembre 2007

Vite di uomini non illustri

Oggi ho parlato di te, mio caro amico senza più un volto. Non ricordo più che faccia hai. Ero giovane e ingenua, passavo il tempo a ribadire la distanza dalla gente e guardavo i tuoi modi gentili con sospetto. Ma tu sapevi tante cose prima di me. Hai letto libri che io ho apprezzato solo più tardi. Primo fra tutti "Cent'anni di solitudine".
Un giorno ti ho prestato "Vite di uomini non illustri" e tu l'hai adorato. Saresti stato uno di quelli. Una personcina anonima e delicata, di cui non avrei più saputo con chi parlare dopo che sei andato via.
Chi ti ha preso ha scherzato con le leggi della natura, ha fatto di te un aneddoto ridicolo. C'è una canzone che ci lega, "Tell her you saw me". L'avevi registrata su una cassetta mista, assieme ad altri pezzi di Pat Metheney. L'ho riascoltata ad oltranza quando me l'hanno detto. Anche questo sapevi già. Per tutte le volte che non ti ho chiesto di restare, per tutte le volte che non ho saputo apprezzarti, per tutte le volte che fumavi una sigaretta col risucchio.
Non ricordo più che faccia hai, e non c'è luogo al mondo dove potrei sperare di rivederla. Piccolo uomo non illustre, ho fame di te e nessuno a cui raccontare chi eri. Nessuno che ti conoscesse. Se solo riuscissi a sognarti ancora una volta... ma tu non mi parli mai. Mi guardi e annuisci, o disapprovi con lo sguardo. Anche in sogno sai tutto prima di me.
Non ricordo più che faccia hai...

sabato 24 novembre 2007

All work and no play makes Jack a dull boy

C'è una mostra imperdibile al Palazzo delle Esposizioni. Tutto Kubrick. Investite almeno un paio d'ore della vostra giornata e calatevi negli antri oscuri di questo visionario scomparso sin troppo presto per noi avidi assetati di suggestioni visive.
Si va dai primi passi come fotografo a film come a "Paura e desiderio", "Il bacio dell'assassino", "Rapina a mano armata". Mi sembra quasi scontato ometterne le opere più celebri, perchè Lei, maestro, merita d'essere conosciuto e riconosciuto senza bisogna di citazioni.
Potrei raccontarvi quello che troverete. Quello che vi aspettate di trovare: copioni, piani di produzione, falli-soprammobile, scimmioni e asce.
Il mio occhio è caduto su una macchina da scrivere, affiancata da una pila di fogli. "All work and no play makes Jack a dull boy". Un'unica frase ripetuta su ogni riga. Una frase che è stata concepita differentemente per ogni paese straniero per il quale si è provveduto alla distribuzione. Ma è una falso, ahimè. Quindici minuti di autentico incanto per scoprire che è una copia. Come potrebbe essere lasciata lì in bella vista, incustodita e alla mercè di tutti, quella macchina... Certo, ma le mie teorie museali - figlie di un cultore della tradizione popolare quale fu Ettore Guattelli - imporrebbero una fruizione sana e diretta degli oggetti. Ma non si può, me ne rendo conto. Nulla, è un falso. Come i falli di "Arancia meccanica" del resto, come i tavolini femminilizzati. Quel che c'è di vero non lo racconterò. Lo lascerò scoprire a quanti avranno il buon senso di andarci. Calatevi nella precisione maniacale di ques'uomo. Troverete i provini di un film mai girato a causa dell'imminente uscita di "Schindler's list", i disegni preparatori di A.I., obiettivi, pagine di giornale e una sedia a rotelle. Sì, in cima a tutto una sedia a rotelle.
Ultima cosa: Kubrick è al secondo piano. Dovrete prima affrontare Rothko. Non lo amo, ahimè (salvo forse per la fase "metropolitana"). Ma con un po' di pazienza riuscirete anche a stanare un'ala dedicata al sorprendente Ceroli, che ha lamentato la collocazione dimessa (io direi nascosta, semmai) attribuendo il tutto alla KAPPA. Sì, Ceroli non ha una "K" nel cognome, a differenza di Kubrick e Rothko. Per rimediare se l'è messa da solo: Keroli, tra le montagnelle di polvere colorata. Keroli che usa legno e cenere. Keroli che "polverizza" cielo stellato e un secolo di storia. Keroli e i sei personaggi in cerca d'autore.
Forse è vero, delle volte se non hai la KAPPA non vai lontano.
Buona visione a tutti,
Evitak

Di coltelli e altre mortificazioni

Ogni cosa tace. La mia formazione magico-letteraria mi ha imposto di cercare segni che raccontassero di un uomo scomparso nelle trame del quotidiano. Ma ogni cosa tace.
Questo mi ha logorata più di tutto. Che le cose abbiano smesso di incastrarsi, che non ci sia soprannaturale nell'ordinario, che le mie sensazioni non si specchino più nella realtà.
Il realismo magico con cui l'ho evocato è rimasto un artificio letterario. Forse sono un'eretica da condannare al rogo se dichiaro di averlo avvertito, e sentito, e sfiorato.
"Suonami come io ti scrivo" - imploravo - "ma cessa di tenermene all'oscuro, perchè io devo sapere". Dov'era l'universo che cospirava a mio favore e come aveva incasellato i suoi ricordi, visto che sembravano tanto diversi dai miei?
Se un filo esiste e su di esso camminiamo bendati e senza rete, procura di tirarlo dalla tua parte, perchè io cada o arrivi da te. Non muovere un passo allora, resta fermo e comincia a tirare. Ma non so se verrò.
Mi sono inventa ogni giorno. Mi sono costruita a mio piacere. Sono nata ogni volta in una miriade di libri, film e canzoni. Disegnata ogni giorno per essere come avrei voluto. Sembro la macchietta di un film comico di terz'ordine, un cartone animato, un fumetto. Se gli standard sono alti non è detto che il risultato poi sia dei migliori. Ma non importa. Davvero, non importa.
Così ho smesso di cercare corpi e sono andata per coltelli. I coltelli che fanno sanguinare il taciuto e stillare verità. "Coltelli affilati ma misericordiosi, una parola senza pelle".
Non mi serve più un corpo, non so che farmene. Ho bisogno di parole, sono affamata di sostantivi e verbi, aggettivi, preposizioni e onomatopee. Solo parole. Cerco strumenti di tortura che mi costringano a tornare a me stessa.
"Quando la parola si farà corpo e il corpo aprirà la bocca e pronuncerà la parola che l'ha creato, abbraccerò questo corpo e lo adagerò al mio fianco" (Hezi Leskli, "Quinta lezione d'ebraico" da I topi e Leah Goldberg)

venerdì 23 novembre 2007

Quando una certa destra si copre le pudenda

Spero saranno in molti domani a scendere in piazza. E dico molti, non molte, perchè prendo le distanza da un certo femminismo incapace di condividere le proprie cause con chi, per natura, appartiene all'altra parte della barricata. Perchè non tollererei un corteo mono-genere.
Oggi sul Manifesto c'è un articolo illuminato di Tamar Pitch, che racconta con grande acume tutto quello che io, ieri, non ho saputo dire. Me misera. Ho il lessico scarso.
Un piccolo aneddoto: anche vicino casa campeggiava un manifesto come quello - indicibile - affisso da un gruppo pseudo-politico - altrettanto indicibile - che ieri mi ha guastato il pranzo. E' stato coperto. Da una composizione a sfondo rosa (tanto chic che pare propagandare altro) e il viso di una donna che appena si intravede. Porta la firma di AN. Per la giornata contro la violenza sulle donne. Devo forse dire grazie a loro se i miei occhi non sono più obbligati a inorridire? E' quasi comico... ringraziare AN e osservare che anche una certa destra si copre la pudenda.

giovedì 22 novembre 2007

Il boccone in gola

Stavo pranzando nella solita piazzetta dove fuggo quando è ora di pranzo. In compagnia, negli ultimi mesi. Oggi sola. Una pessima pizza rustica comprata all'alimentari là vicino, poi due sigarette aspirate tutto d'un fiato, lo sguardo che si solleva quasi su comando ed ecco che mi ritrovo l'ennesima immonda oscenità che campeggia in tutta Roma da qualche tempo.
Una scena di abuso è sempre un pugno nello stomaco per me, sia che si tratti di un film, un trailer, uno spot, la pagina di un giornale, il racconto di qualcuno, una notizia al tg. Devo chinare la testa, volgere gli occhi altrove senza che nessuno lo noti e ascoltare il meno possibile. Non rifiuto di conoscere, ho orrore dell'atto.
Ho orrore dell'uomo che col suo abuso ha ispirato quest'atto di propaganda xenofoba, ma ancor più di chi ha partorito questo manifesto. Perchè deve essersi impegnato per cercare un'immagine consona all'argomento. Quest'uomo
- perchè di uomo si tratta - non sa cosa significhi per una donna trovarsi davanti uno scempio del genere. Quest'uomo parla ad altri uomini e poco se ne frega se sono i primi a perpetrare abusi domestici, o farsi le seghe pensando alle ragazzine che escono da scuola, o adottare la forza quale solo strumento di piacere.
Quest'uomo vuole ignorare che esiste il reato di stalking e solo pochi giorni fa si è discusso il disegno di legge proposto dalla Commissione Giustizia della Camera. Quest'uomo vuole condannare e non sa farlo. Declama la barbarie di un gruppo facendo di ogni suo componente un barbaro. Quest'uomo, che per chissà quale malata deviazione ideologica ha fatto del disprezzo un credo, vuole giudicare senza essere giudicato. E da donna provo pena per quel che vedo. Quell'uomo parla ad altri uomini come lui e di noi, amiche, fanciulle, amanti, mogli e sconosciute, proprio se ne frega.

mercoledì 21 novembre 2007

Franco è morto, W Franco (morto)

Ieri sera Olga ha festeggiato, come da ventisei anni a questa parte, la morte di Franco. Ogni 20 di novembre - cascasse il mondo, ignorando anche mestruazioni, mal di testa, impegni di lavoro, rendez-vous, malumori e disgrazie - Olga prepara una cena per gli amici. Come suo nonno le ha insegnato. Ma si cominciava dal mattino, quando lui era ancora vivo. Niente scuola, colazione buona, festa e urla di giubilo: "Franco ha muerto!". Evviva Franco. Certo, poteva perire un po' prima.
Tutti i dittatori dovrebbero perire prima del tempo. Prima della morte a loro predestinata, prima di prendere il potere, prima di scegliere di non innamorarsi, prima di nascere - nell'utero ancora - prima di essere concepiti.
Retorica banale, la mia. Ancora più banale la giostra del caso. Una concomitanza di eventi che attende più del dovuto per verificarsi, sino a che il grottesco diventa ineluttabile. Franco malato, in ospedale sotto i ferri, e la luce va via.
Il film della serata (visto, rivisto e rimirato): "Il labirinto del fauno". A guardarlo se ne capisce il perchè.
P.S. Olga è galiziana. Mi porta sempre un licor cafè buonissimo. Mi ci ubriaco con quello. E penso: "Perchè sono ancora qui...". Il vino di mio nonno non mi faceva questo effetto.

domenica 18 novembre 2007

Le due vite che abbiamo

Ho visto il Faust di Pessoa questa sera. Un adattamento ispirato all'opera del portoghese che sublima la frammentazione dell'io e rigetta l'amore quale ridicolo, ridicolissimo orpello di un altrettanto ridicolo - perchè inconsapevole d'esserlo - autore di lettere intrise di sentimento e passione.
Sono due le vite che abbiamo, egli dice. Una vera e una falsa. Quella vera è la vita che sognamo da bambini, e continuiamo a sognare per tutta la vita. La falsa è quella che ci tocca vivere ogni giorno: è concreta, insipida, ma necessaria per la sopravvivenza.
"Un bacio... non mi piace, non mi piace il gusto che ha... non è per me". E Faust/Pessoa, che ha scelto mille vite e nessuna, è dilaniato dalle vocine che si dimenano nella sua testa, ha conosciuto il sogno, che è diabolico ma vero al tempo stesso, e rinunciato alla sua vita falsa - dove troverebbero spazio amore e comprensione - solo perchè concreta, insipida e necessaria.
Diavolo di un demonio, dev'essere ogni dì al mio fianco a sussurrarmi il testo, intonare la musica e proiettare le immagini dei miei sogni. Sono vite vere che non ho vissuto. Sono vite dannate per le quali non mi sono ancora perduta.

Com'è profondo il mare, venti e più volte




Triste presagio della giornata da trascorrere, l'i-Pod che flippa.
Non legge le tracce: le scorre in rapida successione eccetto la prima del dì quella che scegli a casaccio prima di salire in metro, perchè il treno è arrivato all'improvviso, la folla preme e tu hai bisogno di musica, di qualunque musica pur di non farti mancare l'aria nel contatto fisico ravvicinato - bocche contro bocche, aliti del mattino, borse schiacciate sul seno e panze floride. Una musica a caso, tanto proprio schifo non ti fa
rà, non l'hai messa a caso sull'i-Pod.
E io ho cominciato la giornata con "Com'è profondo il mare"... Una, due, tre, quattro, cinque... Quanto dura? Sei minuti e trenta? Con metro + a utobus impiego cinquanta minuti per arrivare a lavoro, dunque... no, sono andata alla Posta pure, a spedire una cazzo di raccomandata per l'ufficio, mai spenti l'i-Pod, quindici minuti tra fila e operazione, cinque di attesa autobus, ergo 50+15+5=70, che diviso 6.30 fa più o meno
undici volte lo stesso pezzo. Ho atteso parecchio l'autobus al ritorno. Raddoppiamo il tutto. E siamo a ventidue. No, sullo zero non ci siamo proprio oggi.
E' chiaro che il pensiero dà fastidio anche se chi pensa è muto come un pesce, anzi è un pesce e come i pesci è difficile da bloccare... e lo protegge il mare, com'è profondo il mare. Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche, il pensiero come l'oceano non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare... così stanno bruciando il mare, così stanno uccidendo il mare, così stanno umiliando il mare, così stanno spiegando il mare...

venerdì 9 novembre 2007

Amici miei - Atto I

Marta butta il sangue in un call center. Piazza assicurazioni. Entra tutti i giorni controvoglia nelle case della gente, li circuisce malvolentieri e cerca di convincerli del radicale miglioramento della qualità della vita dovuto all'acquisto di una carta servizi. E' la prima a sostenerne l'inutilità. E' pagata per asserire il contrario. Nel frattempo scrive e dichiara di voler fare il soldato semplice. Le ho rubato quella che poi è diventata la mia massima esistenziale.
Gloria ha abbandonato il mare di Sardegna. Vive in un appartamentino con vista su un palazzone in cemento armato e si chiede di quale malattia si sia ammalata. Quella di tutti, le rispondo. Non è lei inadatta alla vita, è la vita inadatta a noi. Mi insegna la semplicità del desiderare cose semplici.
Elena si modella giorno dopo giorno rispetto alle esigenze di un mercato in continua evoluzione. Elena lavora in un ambiente high profile, up-to-date e very very greed. Dice che smetterà, ma non lo fa. Vuole essere altro, io lo sento, ma è quello che qualcun altro vuole.
Alfonso è un mancato tutto. Un musicista mancato, uno scrittore mancato, un artista - nel senso più ampio del termine - mancato. E' un futuro giurista che fa dei suoi hobby una forma di ribellione, è il rivoluzionario dei punti Feltrinelli, uomo dalle mille qualità che si guarda bene dall'elevarle a mestiere. E' Hervè Joncour che guarda l'ispiegabile spettacolo, lieve, che è la sua vita. Quando troverà il coraggio di scegliere, tra due giorni, cinque o vent'anni, sarà ancora giovane. Giovane e lieve, come la sua vita.

sabato 27 ottobre 2007

And for a bunch of grapes he gave up all the gold in the world

... E per un grappolo d'uva rinunciò a tutto l'oro del mondo.
Questo saltò a miei occhi, sfogliando il libro d'inglese utilizzato per impartire lezioni al boss. Un caso. Macchè. Un segno.
Leggi e traduci, boss. Tu che mi rimproveri di non essere leader, di non volerlo essere, di sottovalutare l'entità di un progetto da 4 milioni di euro, tu, mio boss, leggi e traduci.
Tu che come tutti gli altri in quest'azienda hai una vita familiare scombinata. Tu che non trovi il tempo per comprarti un paio di pantaloni. Tu che vuoi fare di me la futura manager di una qualche business unit di 'sta minchia...
Leggi e traduci, boss.
Perchè io per molto meno, forse per un acino soltanto, rinuncio a tutto l'oro del mondo.

giovedì 11 ottobre 2007

Papparappappà Tarattattà

Cosa lo cerco a fare un titolo, oggi. Non mi serve un titolo. Non mi serve neanche il frigo pieno di vivande: gli ultimi mesi hanno dimostrato come si possa vivere benissimo senza fare la spesa perchè tanto è tutto chiuso quando esci da lavoro. Basta raschiare il fondo del frigidaire, dove si annidano i resti di cibi ancestrali, insaporire con peperoncino, bottarga e aglio in quantità e iniettare il tutto endovena. A che te serve magnà?
Ma è il problema "capelli" che vorrei sollevare... come fai a lavarli e asciugarli evitando il fastidioso effetto onda anni '30 smossa dal vento di ponente se ti restano appena due ore di vita al giorno che vorresti - se possibile - impiegare altrimenti? A che te serve lavarte?
Tutto è ridotto, minimizzato, centellinato, parcellizato e poi annullato. Quello che non vorresti annullare si fa zero, mentre ciò che meriterebbe un adeguato ridimensionamento raggiunge proporzioni incommensurabili.
Giovani lavoratori che non avete avuto il tempo di pronunciarvi in merito al protocollo sul Welfare... in quali improrogabili faccende eravate affaccendati? Una riunione? Una pausa caffè durata l'intera giornata? La vivisezione di un tramezzino? O approfittavate del trambusto dovuto alla chiusura del seggio per lavarvi i capelli nel bagno della vostra azienda? E intanto noi peniamo, strozzati dalla riforma Biagi che pare non voglia farsi riformare. Dove siete, lavoratori vecchi e nuovi astenutisi dal doveroso diritto di voto?
Io devo ancora lavarmi i capelli e tuttavia indugio sul da farsi. Accorrete in mio soccorso, poichè combatto con certe zozzerie amministrative che vorrei non vedere. Ma è lì che resterò ancora per un pezzo: nel mio solito posto di lavoro, dove ogni cosa è raccontata per quello che non è. Gesù, Giuseppe, Maria, S. Chiara e pure S. Crispino, non smadonno ma v'invoco: è così che va il mondo?
E se non volessi? No, diciamo... se per esempio avvertissi un ripudio profondo, un conato che mi parte dalla suola delle scarpe, mentre tutto il mio essere smania per uscire e andarsene a zonzo, lontano dalle pratiche e dai contratti posticci? Sia salva l'anima mia, che tanto è già sbiadita e sta evaporando all'ultimo sole dell'anno. Volevo fare la reporter. Volevo stanare magagne e urlare: "questa è proprio una ca..., una vera cazza..., una grande, gigantesca, strepitosa caazzaaataaaaa!".
"Voglio fare il soldato semplice", sostiene sempre una mia amica. Assoldatemi, Signori, vi sarò fedele. Non chiedetemi di imbracciare armi, corrompere gabellieri e invadere Regni altrui. Datemi una penna e vi renderò giustizia. Certo, se mi pagate è meglio. Non è per cupidigia, ma prima o poi il fondo del frigo smetterà di offrirmi quella pappetta melmosa di cui mi nutro.

mercoledì 3 ottobre 2007

Sullo zero ci siamo


Se la qualità della vita di ciascuno si potesse misurare da quello che si vede dalla propria finestra, allora sarei autorizzata a pensare di vivere in un campo zeppo di reperti d'archeologia industriale.
Scambiare un pezzetto del Golfo di Napoli con un'acciaieria dismessa non è esattamente il massimo dell'appagamento estetico. Ho zanzare e infiammazioni a sufficienza quando fa caldo, e un gatto ruffiano che si strofina ai miei piedi e domanda qualsiasi sostanza commestibile quando il tempo è meno clemente.
Ironia della sorte, la luce arriva fioca anche qui, come in tutte le mie case napoletane. Con la sola differenza che qui la civiltà è arrivata e ha portato il riscaldamento condominiale. Mi spalmo addosso la crema abbronzante prima di andare a dormire. E poi chiudo gli occhi e immagino quanta ironia debba ancora riservarmi l'indomani.
Se lavando bicchieri con cura certosina e preparando caffè in un ristorante pensavo - in tempi più cupi - che tutto fosse il preludio di una ritrovata futura garanzia di poter scegliere, e non essere scelta dalle cose... e se improvvisando piece senza copione tentando di vendere bibbie porta a porta immaginavo di scrivere l'epopea del precariato moderno... se distribuendo volantini per un parrucchiere che mi ha tagliato i capelli una sola volta - e pure male - contavo i miei 3 euro in tasca pregustando carrelli pieni di vivande inutili al supermercato... ebbene, quel che accade ora supera di gran lunga ogni scherzo passato.
COSA CI FACCIO QUI, COSA FACCIO, PERCHE', PERCHE', PER COME E PER QUANTO?!?
Dev'essere il giusto contrappasso per i libri troppo poco pragmatici che ho letto, o l'ennesima prova di resistenza. O un semplice insegnamento: se vuoi scrivere per mestiere e assicurarti uno stipendio fisso devi vestire le parole di abiti non tuoi. Perchè quando sei tu a sceglierne i vestiti non è proprio un mestieri retribuito regolarmente, o almeno suppongo.
Nell'ultimo anno ho cesellato le parole degli altri, ho scritto nel loro stile imparando il vocabolario della pianificazione ambientale, dell'urbanistica, della botanica, del marketing, dei nuovi device, dei videogame e della buracrazia. Soprattutto della burocrazia.
Non riesco ancora a liberarmi di programmazione, azione, al fine di, multiplayer, DTT, multicanale, suite di giochi, al fine di, in tal modo, pubblicizzazione, intervento, misura, fattibilità, zonizzazione, controllo di gestione, overhead, recettività, strategia, framework, piattaforma.
Leggo Proust per disintossicarmi: di arzigogolato ha molto anche lui, ma viaggiamo su binari diversi, e mai si sognerebbe di affidare a Swann l'impianto di nuove specie arboree in un'applicazione multipiattaforma implementata in linguaggio Macromedia Flash. Cosa dico? Non mi capisco...
Così mi sono riappropriata del mondo esterno e ho comprato una tv, dopo un anno di soli giornali. Ma è spenta da mesi. Non riesco ad abituarmici, sicchè cerco un po' di musica adatta a una pizza sottile con origano... nessuno ha educato i pizzaioli all'uo del basilico - mi domando - e sorseggio una birretta che ha il sapore di piazze napoletane e nottate senza sonno con le rondini che mi ronzavano sul tetto e si accoppiavano senza sosta. Chi ha pensato alla metafora dei ricci?
Il telefono squilla, il cellulare pure, sono troppo loquace o silenziosa, qualcuno ne approfitta e mi racconta del colore del fasciatoio della propria infanzia o del prossimo concerto al Circolo degli Artisti.
Neruda diceva (così almeno me la ricordo): "Io sono trecento, quarantasei o sette. Con umiltà sto sistemando i mie conti per ritornare a zero e congedarmi". Non so se i numeri fossero proprio quelli, non so che numero sia io stessa, ma sullo zero ci siamo.
Mattina, metro gremita di gente. Sullo zero ci siamo.

sabato 29 settembre 2007

One art



The art of losing isn't hard to master;
so many things seem filled with the intent

to be lost that their loss is no disaster.
Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn't hard to master.
Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.
I lost my mother's watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn't hard to master.
I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn't a disaster.
Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan't have lied. It's evident
the art of losing's not too hard to master

though it may look like (Write it!) like disaster.

E' Elizabeth Bishop...